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Le caratteristiche della violenza domestica

La violenza domestica è un sistema complesso di violenza e potere all’interno di una relazione familiare o di tipo similare. Ciò la distingue da altre forme di violenza, come p.e. la rissa in un luogo pubblico, e ostacola fortemente il percorso di uscita delle vittime da una relazione violenta. Le azioni violente tipiche della violenza domestica non sono azioni che trovano la loro origine in una situazione particolare, ma esistono già all’interno di un sistema.

 

ReueAlla base troviamo un rapporto di potere impari. Ciò non basta comunque a giustificare una relazione violenta. Solo allorquando la superiorità (fisica, economica etc.) viene volutamente utilizzata dalla persona violenta e diretta all’affermazione dei propri interessi contro la volontà dell’altra, si può parlare d violenza.
Caratteristica della violenza domestica è che l’azione violenta non rimane isolata, ma si ripete sempre attraverso le stesse fasi che portano ad un acuirsi della situazione di violenza. L’intervallo tra una fase e l’altra solitamente si accorcia e l’intensità della violenza aumenta. Questo processo viene definito la “spirale della violenza”.
Nella prima fase cresce la tensione tra autore della violenza e vittima. In questa fase spesso si evita un’ escalation della violenza perché la vittima cerca di prevenire ogni azione violenta adattandosi. Ad un certo punto però questo non basta, il violento troverà sempre, nonostante i massimi sforzi della vittima, qualche pretesto per reagire con maggiore intensità, arrivando a quello che si definisce la seconda fase della spirale della violenza. Dopo un momento di spavento da parte di entrambi si entra nel terza fase, ove l’autore della violenza si pente, chiede forse anche scusa, si preoccupa della vittima e promette di non essere mai più violento. Ma pian piano ritorna a imputare alla vittima le colpe per le sue reazioni violente. A volte anche l’ambiente circostante – influenzato dall’autore della violenza – tende a colpevolizzare la vittima. La terza fase rientra sottilmente nella prima e il ciclo ricomincia da capo.
È la terza fase in particolare, ove il violenta mostra pentimento, si mostra amorevole etc. che porta la vittima a riprendere forza e sperare che sia di nuovo possibile recuperare il rapporto. Questa fase è uno dei fattori che ostacolano il percorso di uscita dalla violenza.(vedi la ruota della violenza)

 

Esempio:

La signora G. ha 35 anni e lavora come commessa in un supermercato. Ha due figli: Eva, 6 anni e Manuel, 8 anni. Da 10 anni convive con un assicuratore. Inizialmente era una storia molto romantica. Il compadino la adorava e le dava la sensazione di essere qualcosa di veramente speciale.
Alla prima gravidanza di G. il compagno ha messo in dubbio di essere il padre. Rimproverava G. di averlo tradito con un collega di lavoro, cosa totalmente assurda. Ad una ennesima discussione, egli diede per la prima volta un calcio alla pancia della compagna che ne rimase scioccata. Resosi conto di ciò che aveva fatto, si mise a piangere e a chiedere scusa, giurando che non avrebbe mai più ripetuto una simile azione. La signora G. gli volle credere, non raccontò a nessuno l’episodio – nemmeno al medico dell’ ospedale – e cercò di dimenticarlo.
Con la nascita di Manuel diventò sempre più difficile per G. accontentare tutte le aspettative del compagno. Anche se si sforzava tanto non riusciva sempre per esempio a cucinare in tempo o tenere l’appartamento in condizioni impeccabili. Il compagno trovava sempre più spesso cose che non andavano e rimproverava di ciò la compagna, dicendole che non era una brava casalinga, madre, compagna. A volte alzava anche le mani su di lei. Dopo si scusava, a volte piangeva anche – e le portava fiori o altri regali. Con la seconda gravidanza si riproposero le accuse nei confronti della donna di averlo tradito. Naturalmente con due figli per G. divenne ancor più difficile accontentare il compagno che non era mai disposto ad aiutarla.
Più volte un’amica di G. che vedeva i frequenti ematomi, aveva consigliato la stessa di lasciare il compagno, ma la signora G. doveva combattere con i tanti pensieri che la fermavano: Non è sempre così. I figli hanno bisogno di un padre. All’inizio era bello, forse torna tutto come prima. Mi ha detto che se lo lascio mi distrugge la vita, per me è imprevedibile, forse mette in atto la sua minaccia! Non posso parlarne con nessuno: lui è così bravo a parlare, non mi crederà nessuno, tutti mi daranno la colpa per avere fatto fallire la nostra relazione. Chi guarderà i bambini quando sono al lavoro? Gli affitti sono troppo cari non potrei mai con due figli permettermi di pagarli. Se lo lascio nessuno si occupa più di lui, lui ha sempre detto che sono l’unica di cui si fida, non ha nessun’altro e si ucciderà. Cosa succede se lo fa veramente?